Intervista al sindaco


Abbiamo intervistato il Sindaco del Comune di Vallo di Nera, Agnese Benedetti… alla vigilia dell’evento Fior di Cacio (quest’anno l’8 e il 9 giugno a Vallo di Nera).

A quale edizione è arrivata la manifestazione “Fior di Cacio”?

Siamo arrivati alla quattordicesima edizione*, senza considerare l’anteprima del 2002 che si tenne in dicembre con esperti e stampa per lanciare l’iniziativa.

* Intervista del 2015, ora siamo alla 19° edizione!

E’ la prima volta che partecipa come sindaco?

No, non è la prima volta. Ero già sindaco quando la manifestazione si tenne la prima volta nel 2003. Nacque tutto con una telefonata, fatta un anno prima tornando da Norcia dove si stava tenendo la mostra mercato del tartufo nero. Guidavo e pensavo che anche Vallo di Nera poteva ‘adottare’ un prodotto della nostra Valnerina e farlo diventare protagonista di un appuntamento di qualità. Il centro storico di Vallo si prestava per le sue caratteristiche architettoniche e paesaggistiche a diventare la roccaforte del formaggio, mescolando tradizione e innovazione e soprattutto la volontà di far emergere dall’anomimato una serie di produzioni di alto livello. Telefonai a Renzo Fantucci, esperto di formaggio e originario di Vallo e, successivamente, a Luciano Giacchè direttore del Cedrav. Anche loro condivisero la mia idea e così ci mettemmo subito a lavorare dopo aver incontrato i pastori di Vallo e della Valnerina. La regione sposò pienamente la nostra proposta, considerato che in tutta l’Umbria non esisteva alcuna manifestazione dedicata al formaggio né un marchio di qualità, mentre il settore di produzione andava registrando numeri ragguardevoli manifestando una propria identità.

Quali vantaggi ha questo evento per il comune di Vallo di Nera e all’intero comprensorio?

Per il Comune di Vallo il vantaggio più diretto è quello di aver creato una manifestazione originale e di successo, frequentata ogni anno da centinaia di persone. Per la Valnerina è stato importante mettere l’accento su un settore che ha contribuito a far riemergere un mestiere storico ma a rischio di estinzione. Fior di Cacio ha il merito di far incontrare gli allevatori e trasformatori, di metterli insieme per crescere e migliorare, accendendo i riflettori su un mondo di squisitezze.

Quali sono le finalità e gli scopi della manifestazione?

Far conoscere la particolarità delle produzioni casearie e degli altri prodotti del paniere alimentare, avvicinare i consumatori al cibo di qualità, promuovere le forme associative per migliorare i prodotti e renderli riconoscibili sul mercato, rendere il mestiere di pastore competitivo da un punto di vista economico. La Valnerina, che nell’immaginario è come una munifica Grande Madre del buon cibo, deve saper salvaguardare le attività tradizionali dallo spopolamento e dall’emigrazione se non vuol perdere uno dei suoi biglietti da visita migliori.

Ricorda qualche aneddoto inerente?

Intanto l’origine del nome Fior di Cacio che è scaturito da tre considerazioni: il riferimento al fior fiore della qualità; ai fiori dei nostri pascoli primaverili che conferiscono al latte e al formaggio un sapore particolare; al fiore molle allo zafferano che in quegli anni era stato riprodotto a Cascia seguendo un’antica ricetta del 1500. Questo per il fiore; riguardo al cacio, da noi, in Italia centrale, il formaggio si è sempre chiamato così, derivato direttamente dal latino caseus. Un nome intriso di ricordi pieni di odori, di suoni, di processioni di pecore che due volte l’anno partivano o tornavano nel paese per cercare erba migliore, di pastori che preparavano le forme, di donne che le lavavano alle fonti e le riallineavano sulle tavole d’abete delle cantine, di ‘ruzzichette’ pluristagionate che si portavano alla bottega per farle grattugiare quando il pecorino o il misto di vacca e capra condiva abbondanti pastasciutte e minestre. In quasi tutte le case dei nostri paesi aleggiava l’odore del cacio, sull’appendirame di ogni cucina erano appesi lo spino di legno, la ‘callaretta’, i cerchi e la fuscella della ricotta. La sera, chi non aveva animali, aspettava grato l’omaggio del ‘piatto’, ottenuto con due fette di pane raffermo bagnate da siero bollente e dalla freschissima, fine ricotta.

 

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